MARIA CRISTINA TOFFALORI

MARIA CRISTINA TOFFALORI

(TRADUZIONE IN ITALIANO SOTTO)

 

ENGLISH

MARIA CRISTINA TOFFALORI

When I first met Paul Crespel, in 2006, I had no idea of his photographic past.  It was a part of himself that he had locked away and didn't talk about.

In 2009 I saw him buy his first camera since 1997, and I watched as he started taking photographs of animals and birds, carefully avoiding people, and I continued to be there as he slowly regained confidence, though still unwilling to talk much about photography.

In December 2011 Paul announced that he was going to try Street Photography, a discipline he had never tried.  I still had little idea of his photographic past.

In November 2012 I helped Paul produce his first exhibition for over 25 years, and it was at this point that I started to understand that he was searching for something by confronting what he had been avoiding since he gave up photojournalism in difficult situations.  The viewfinder was starting to offer him other possibilities other than suffering, and I was starting to question myself, in a new way, as to the mysterious power of images.

Paul bought a few books of photographs by Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Elliott Erwitt and other great photographers, and I started to look at those photographs.  I was also lucky enough to be present when Paul took some of his most memorable photographs, and to see how he approached his subjects, and how he got the shots.

I asked Paul for advice.  He gave me a simple camera and and the instruction book, and told me to read the instructions and go out and take photographs.  For Street Photography he advised no lessons, no courses:  just me, and total attention.  Speed and personal style would come with practice.

I knew that too much technical knowledge could be counterproductive: I didn't want to find myself thinking technical when about to shoot, but to feel completely free to follow my instincts.

I read that even the great street photographers and photojournalists of the past used a form of "automatic", where they preset the camera shutter speed and aperture, and they set a hyper focal distance on the lens, and that my main aim should be to capture the decisive moment, not to try and be clever with the settings on the camera.  In the comfort of a photographic studio you have the luxury of taking your time and thinking, but for journalism, documentary or street photography there is often no time to think.

From books I was able to discover how to adjust the ISO, shutter or aperture to cope with extreme lighting or contrast, fast moving or backlit subjects.  On the few occasions I've tried to get Paul to explain something we have always ended up disagreeing, a bit like a man trying to teach his wife to drive.

I am self-taught.  I have had the advantage of having books to look at, and to watch Paul at work, and even to see how he selects which images he will keep and which he will discard, which has been useful.  However, being self-taught is a huge satisfaction and allows a photographer to develop his or her own style, without becoming a clone of a teacher.

I decided, right from the start, that I would avoid cropping, levelling or using Photoshop.  I shoot directly into JPEG black and white, and the photographs are printed as they come out of the camera.  The overall contrast of the image is decided and set at the printing stage, as if printing from a negative.  This decision was not made because there is a right and wrong way, but simply because that is the way I had seen it done.  It is a great satisfaction seeing my printed images exactly as I saw them in the viewfinder, and not false re-creations made with a computer.

 

ITALIANO

MARIA CRISTINA TOFFALORI

Quando ho incontrato Paul Crespel, nel 2006, nulla mi ha fatto pensare che avesse un passato da fotografo.  Era una parte di lui che aveva accuratamente riposto in un angolo della memoria e della quale non parlava.

Nel 2009 l'ho visto comprare una macchina fotografica - la prima per lui dopo il 1997 - e l'ho guardato mentre cominciava a scattare foto di animali selvatici, evitando tuttavia accuratamente di fotografare persone; e ho continuato a esserci mentre lentamente riguadagnava confidenza, sebbene ancora non volesse parlare molto di fotografia.

Nel dicembre 2011 Paul mi ha detto che voleva provare a fare Street Photography, una disciplina che non aveva mai sperimentato prima.  Io non sapevo ancora granché del suo passato fotografico.

Nel novembre 2012 ho aiutato Paul a organizzare la sua prima mostra dopo più di 25 anni, e a questo punto ho incominciato a capire che stava cercando qualcosa dentro di sé, affrontando ciò che aveva attentamente evitato da quando aveva smesso di fare il fotoreporter nei luoghi più cruenti del pianeta.  Per lui tornava la possibilità di non vedere solo sofferenza dall'altra parte dell'obiettivo.  Io, invece, incominciavo a interrogarmi in modo nuovo sul potere misterioso delle immagini.

Paul aveva acquistato alcuni libri con foto di Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Elliott Erwitt e altri grandi fotografi, e ho cominciato a guardarli spesso anch'io.  Sono anche stata tanto fortunata da esserci nei momenti in cui Paul ha scattato alcune delle sue foto più memorabili, potendo osservare come avvicinava i soggetti e come riusciva a catturare certi istanti.

Mi cresceva dentro la curiosità di sperimentare in prima persona la natura di quella passione misteriosa.

Ho chiesto a Paul qualche consiglio.  Lui mi ha messo in mano una piccola macchina fotografica con relativo libretto di istruzioni, dicendomi di studiarle e poi andare fuori a scattare.  Per la Street Photography non sarebbero serviti né corsi, né lezioni: solo me stessa, la mia sensibilità e attenzione.  Con una pratica intensa sarebbero arrivate maggiore velocità ed esperienza.  E continuando, ancora e ancora, sarei riuscita a riconoscermi in uno stile unico e personale.

Sapevo che troppe conoscenze tecniche sarebbero potute risultare controproducenti: non volevo mettermi a pensare proprio nei momenti critici degli scatti, ma sentirmi semplicemente libera di aprirmi all'istinto.

Paul mi ha spiegato che anche i grandi fotografi di strada e i fotogiornalisti del passato usavano in un certo senso la modalità "automatica", quando cioè preselezionavano aperture e velocità dell'otturatore e regolavano la distanza iperfocale, e che il mio scopo doveva essere unicamente quello di catturare con un click i cosiddetti "momenti decisivi", non di provare la mia bravura con le impostazioni della macchina.  Nella tranquillità di uno studio fotografico ci si può concedere il lusso di prendere tempo e pensare, ma per le foto giornalistiche, documentarie o per la Street Photography di solito il tempo per pensare non c'è proprio.

Ho imparato dalle istruzioni - leggendo, provando e riprovando - come regolare ISO, otturatore e diaframma per fronteggiare condizioni di eccessiva luminosità o contrasto, soggetti in movimento rapido o in controluce.  Qualche volta mi è anche capitato di chiedere a Paul di spiegarmi qualcosa, ma abbiamo sempre finito col ritrovarci a discutere, perché i nostri modi di vedere e di capire le cose seguono strade molto diverse.

Sono autodidatta.  Ho avuto il vantaggio di avere in giro per casa ottimi libri di foto da poter guardare e riguardare in tutta calma.  Anche osservare Paul al lavoro e vedere con quali criteri seleziona le immagini da conservare e quelle da scartare ha rappresentato un certo vantaggio.  Comunque, l'essere autodidatta è una soddisfazione enorme e permette a un fotografo o a una fotografa di sviluppare in autonomia il proprio stile, senza che questo subisca l'influenza dell'eventuale insegnante.

Ho deciso fin dall'inizio che avrei evitato di ritagliare, mettere a livello o usare Photoshop.  Di solito scatto direttamente in JPEG bianco e nero, e le fotografie sono stampate così come sono quando escono dalla macchina fotografica.  Il contrasto generale dell'immagine è deciso e messo a punto in fase di stampa, proprio come si farebbe con la stampa da negativo; non tanto perché sia giusto o sbagliato, ma semplicemente perché è così che l'ho sempre visto fare.  È un piacere vedere le mie immagini stampate esattamente come le ho viste nel mirino, e non falsamente ricreate o manipolate al computer.  Mi piace la verità.